martedì 25 novembre 2008
Fughe
sabato 22 novembre 2008
domenica 16 novembre 2008
You're the cream in my coffee
La verità è che ...
sabato 15 novembre 2008
Lo Straniero
Premessa
Poco più di un anno fa ho conosciuto un uomo che ha abitato nella mia vita per qualche mese e mi ha insegnato delle cose. In una notte senza sonno mi ha raccontato la sua vita e la sua malattia. Aveva un modo di vivere la malattia e di raccontarla straordinario.
Quando si sta male in un certo modo c’è o la strada o l’ospedale, diceva …
La sua storia meriterebbe di essere scritta ché è davvero una storia forte. Non sarò però io a farlo. Scrissi in quel periodo un brevissimo racconto “Lo Straniero” in cui immaginavo la morte della madre di quest’uomo e una sua reazione a quest’evento. Nella storia “lui” fa la parte di un architetto (nella realtà l’uomo era un disoccupato che viveva di una pensione di invalidità e di qualche residuo di un’eredità pressoché sperperata oramai). Nella storia lui ascolta la “lirica”. Nella realtà credo che la detestasse perché il padre (un melomane) lo aveva costretto da bambino a seguire concerti lirici, ecc. ecc.
Quest’uomo non c’è più nella mia vita, ché qualche mese dopo la nostra conoscenza fu costretto a partire e a tornare nel centro Italia, dove, per quanto ne so io, vive con la madre da qualche mese. Partì precipitosamente dal Salento. Non feci in tempo a dargli il mio regalo di Natale, il libro di Rampino sull’India che da allora giace in cima alla mia libreria in una carta color dell’arancia. E’ lì perché se un giorno lui dovesse tornare nella sua casa sul mare vorrei che ci arrivasse con il mio dono che non ho potuto dargli allora. A quest’amico va oggi un mio pensiero d’affetto.
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Lo Straniero
Alte risuonavano le note di Oh Madre Mia nelle voci di Amilcare Ponchielli e Maria Callas. Attraversavano le pareti rimbalzando di scalino in scalino nella vecchia casa di città e poi invadevano il quartiere a grande forza. I vicini sopportavano pazientemente. In fondo solo di tanto in tanto di domenica mattina l’architetto alzava il volume e l’opera si ascolta così. In fondo l’architetto era una persona garbata, salutava sempre quando lo si incontrava per strada e poi si sollevava con uno scatto improvviso il bavero del cappotto color cammello. Da quant’è che abitava lì? Beh, saranno sette anni, almeno. Sempre lo stesso cappotto color cammello. Un’appendice del suo corpo. Impossibile pensare a lui senza immaginarselo nel suo cappotto, lungo ed elegante.
Quand’era arrivato lì, si pensava che fosse di passaggio, come gli inquilini che passavano sempre da quella casa, la casa di Giovanni. Giovanni, il benzinaio, quello che era stato coinvolto in quell’affare lì, quello delle case da gioco. Poverino, fare quella fine lì! Non aveva retto la vergogna. Si era sparato un colpo in testa una sera di dicembre di, quanto tempo sarà passato? Dieci? No, di più. Dodici anni, almeno.
La famiglia aveva abbandonato il quartiere pochi mesi dopo e la casa, quella grande casa di città era stata data in affitto. L’architetto era quello che si era fermato di più, lì.
La voce della Callas risuonava forte quando un trillo insistente lo richiamò alla realtà. Si scosse e lentamente alzò il ricevitore. Riconobbe subito la voce e capì dal timbro metallico che si trattava di qualcosa di serio. “Vieni”, disse Marta, “è ora di tornare”. Non ci fu bisogno di aggiungere altro. Da tre anni ormai non la sentiva, mai.
Un solo cambio d’abito sarebbe bastato. Preparò il bagaglio. Spense lo stereo ed andò a prendere il treno. La stazione affollata, come sempre, accolse l’architetto. Fece il biglietto per Roma e aspettò l’intercity delle 18.00.
Sul treno si alzò il bavero del cappotto quasi a proteggersi meglio dal freddo. Ma non c’era freddo nello scompartimento. Il suo freddo veniva da dentro e da lontano.
Appuntò lo sguardo fuori dal finestrino e rivide la casa di Roma, le alte porte laccate di bianco con i freddi pomelli, anch’essi bianchi. La luce che filtrava dalle persiane verdi sempre chiuse al mondo e lei. La rivide nei suoi gesti più consueti, quando con civetteria si scostava i capelli ramati dietro le spalle. La rivide mentre sorrideva al tavolo della sala da pranzo, mentre sorrideva a Tommaso, con quello sguardo di complicità senza fine, complicità da cui lui era escluso. Tommaso … Da bambino, era stato il suo idolo. Lui, le sue macchine sportive, l’ironia, l’intelligenza di Tommaso.
Tommaso … L’avrebbe trovato lì? Ne dubitava.
Arrivò a Roma dopo circa un paio d’ore. Aveva fame. Si fermò a mangiare qualcosa, in un luogo di poche pretese. Tranquillo. Alla sua portata. Già. Cos’era lui, se non un uomo di poche pretese, in fondo! Così diverso da Tommaso, senza grandi ambizioni. Lontano dalle luci della ribalta. La ribalta!
Lei era fatta per il palcoscenico. C’era una teatralità diffusa, sempre in lei. Sempre. Ma c’erano momenti in cui la sua forza di istrione veniva fuori quasi in modo furioso. Quando faceva tintinnare i cubetti di ghiaccio scintillante nel bicchiere, nella sua quotidiana sfida all’alcool.
Arrivò a casa che erano già le 23.00. Marta gli aprì la porta. Lui la guardò. Non era cambiata molto. Ci aveva pensato lei, gli disse. Aveva chiamato un’agenzia. Si erano occupati loro di tutto.
L’architetto diede uno sguardo alla casa. Com’era diversa rispetto ad allora! L’odore di piscio di gatti aveva invaso tutto lo spazio. Non più l’odore di lavanda dell’infanzia. Poi andò in camera. La guardò. “Sei ancora bella”. Pensò. “Bella come allora”. Chiuse la porta dietro di sé e disse a Marta: “Andiamo, torniamo domani per il funerale”. Uscirono per strada. C’era freddo. Una falce di luna splendeva nel cielo terso di marzo.
Ichnusa

giovedì 13 novembre 2008
Asilo

mercoledì 12 novembre 2008
martedì 11 novembre 2008
Com-mistioni
Mi chiedo se non mi stia venendo una crisi mistica … sarebbe oltremodo curioso dopo una vita di professioni di agnosticismo (ma si dice così? … agnosticismo???). Che non si stia disvelando progressivamente un velo? Che non finisca i miei giorni nella pace di un chiostro? In fondo l’eremitaggio è iniziato già da un po’. Solo un segnale? Giusto un primo passo? Stiamo a vedere e non mettiamo limiti alla prov-videnza divina.
Sono arrivata alla “vanità delle vanità” a partire da una piccola riflessione sui fuochi fatui e da una immagine che ha colpito la mia attenzione, questa:
Sì, sì … lo so che è una strana mescolanza di sacro e profano, ma un po’ mi rappresenta questo strano connubio. O meglio, rappresenta il mio stato d’animo di stamattina, 11 novembre 2008.
domenica 9 novembre 2008
Melograna

sabato 8 novembre 2008
Nell'orror di notte oscura
Riempio il tempo di questo sabato con una manciata di cose. E che succede? Gesti? Di sabato? E non è sempre dedicato alla paralisi il sabato? Che qualcosa stia cambiando?
In ordine sparso e assolutamente non cronologico:
Ø Leggo. Ancora Cioran. Mi annoio. Leggo una conversazione dove parla di politica. Mi annoio. Se non afferro le cose nella loro interezza, mi annoio in genere. Ergo: spesso mi annoio, ché del tutto raramente afferro le interezze.
Ø Idea: e se girassi i materassi? La schiena potrebbe trovarne giovamento? Pensato, fatto … cosa che è piuttosto strana, considerato che normalmente intercorrono sempre spazi piuttosto dilatati tra i miei “progetti” e i tentativi di realizzazione.
Ø Cambio delle lenzuola. Giacché ne approfittiamo.
Ø Lavatrice … yeah. Se riusciamo anche a stenderla subito dopo il lavaggio, qualcuno comincia a preoccuparsi.
Ø Accendo il riscaldamento. Così questa umidità che ci accompagna da qualche giorno la neutralizziamo almeno per un po’. Scrivo da un’aria calda, quasi tropicale.
Ø Sento musica. Capossela: Il Ballo di San Vito.
Ø E nel frattempo scrivo pure un breve post su questo sabato pomeriggio.
Ø Bevo un caffè. Buono.
Ø Penso agli amici lontani che non ricevono segni della nostra esistenza in vita da un po’.
Ø Rifletto: faccio parte dell’accolita dei rancorosi e non ho problemi ad ammetterlo in questo mondo dei blog dove regnano i buoni sentimenti. Sono una rancorosa, nonché iraconda. Punto.
Piesse. La canzone che segue è dedicata all’uomo che solo grazie al potere liberatorio della mia scrittura è ancora in vita, altrimenti sarebbe già morto da tempo. L’uomo tenuto in vita dal mio disprezzo e ancor di più dall’odio.
Piesse di secondo grado. Un po' di melodramma non guasta mai. Adoro il melodramma. Ri-punto.
La sua figura
Giuni Russo - La S... |
Una manciata di ore a separarmi dal gelo di una stazione. Certe stazioni ti restano dentro in mille modi diversi. Di quella sera ricordo la faccia di un tassista e il suo sguardo ammiccante. Ero una probabile cliente in una sera di gelo e di solitudine, una sera scarsa di affari. Così pensava lui ... ma così non era. Spesso le cose non sono come sembrano. Ero lì per un motivo solo. Scavarmi la ferita fino in fondo con un coltellino a punta fine che mi facesse ricordare di quelle ore non solo il freddo e la faccia di un tassista.
Strade Maestre: Novecento

h. 21.00 (o poco più)
Città: Lecce
Scenario: Cantieri Teatrali Koreja
All’improvviso si fa buio in sala. Un buio totale e … inizia lo spettacolo.
Bello lo spettacolo. Un’unica piccola critica. Se fosse stato leggermente più concentrato nel tempo probabilmente la mia schiena avrebbe retto meglio. A un certo punto sul “Virginian” una nota stonata è comparsa: una fitta più o meno insistente alla schiena, la mia, che ha iniziato progressivamente a farsi strada verso l’addome e mi ha un po’ dis-tratta.
Alla fine siamo usciti per strada che c’era freddo … L’autunno comincia a diventare molto più che un indizio nell'aria.
venerdì 7 novembre 2008
Teatro
Il tutto per dire che stasera si va a teatro. Mi ha incastrato un'amica giorni fa, un giorno che ero distratta evidentemente.
giovedì 6 novembre 2008
Indizio d'autunno

Ho tra le mani Chiari del bosco e Dalla mia notte oscura e mi sembra così che l’atto di appropriazione indebita sia meno grave avendo qui ora con me due libri veri di María Zambrano.
E’ profeta il cuore, come ciò che essendo centro si trova su un confine, sempre in procinto di spingersi più in là di dove già si è spinto.
Credo che sarà un inverno denso di letture il mio. Cominciano ad essere tanti i libri da leggere adesso. Sarà ora di cominciare a farlo sul serio e in modo più sistematico? Credo di sì.
P.S. Anche durante la passeggiata di oggi la città mi era amica ed è un buon segno.
mercoledì 5 novembre 2008
C'è che ...
Qualcuno prova a stanarmi senza esito. Un amico di vecchia data incontrato per strada e per caso mesi fa. Scrive. Romanzi. Vorrebbe darmi dei manoscritti affinché io li legga. E’ da giorni che prova a stanarmi senza esito. E’ un tipo sui generis. Mai venuto a patti con le necessità del quotidiano. Vive di espedienti appoggiandosi a chi di volta in volta gli si offre come spalla in cambio di un po’ di compagnia, un po’ di mutuo soccorso. Mi ha raccontato un po’ degli ultimi suoi anni nei giorni in cui l’ho visto. Scenario: Roma, appartamento di un noto poeta morto qualche anno fa, una sorta di poeta maledetto dei giorni nostri. E poi convivenza con vecchia signora ammalata di solitudine metropolitana e poi spettacolo teatrale nato per caso in una fumosa conversazione in un bar con attore teatrale appena conosciuto …
Le nostre migliori cose nascono sempre per caso.
L’ho visto nei giardini pubblici della città l’ultima volta ed è lì che gli ho promesso che avrei letto le sue cose. Non riesce però a stanarmi, non ho voglia di essere stanata per adesso e forse neanche molto di entrare nel suo mondo. Non ora. Non ora. Ma verrà il tempo.
Andrea prova a trascinarmi in palestra. Sono due mesi che ci prova. Alla fine lui si è iscritto e lunedì ha fatto la sua prima lezione. Ed io? Quando mi iscrivo? Quando? Mi interroga a giorni alterni. Forse, tra un po’. Ma non ora. Non ora. Aspettiamo che giunga l’autunno ché è ancora estate qui e c’è caldo. Forse. Tra un po’. Sorrido dicendolo. Lui sa che è molto improbabile questa mia iscrizione. Quando arriverà l’autunno, mi metterò ad aspettare l’inverno.
Esco ogni tanto a camminare in città. Incontro quasi sempre una faccia nota, il fratello di un amico che non è più nella mia vita. Leggo nel suo viso altri tratti. Si somigliano, sì. Mi torna in mente il suo viso e mi pare di risentire la sua voce baritonale. Non c’è dolore però. Non sento dolore. Deve essere sempre per via di quello schermo tra me e il mondo. Come sto? Come una che sta imparando a schermarsi … pochi momenti di passione, ma anche poco dolore. Mi guardo senza quasi ri-conoscermi.
Poi arrivano certe sere. Certe sere che mi risento un nodo all’altezza dello stomaco, quando una sola parola, detta o non detta, può gettarmi nello sconforto più totale. Mi ritrovo con tutta la mia dolente umanità. Gretta. Meschina. Soggetta a sentimenti altrettanto gretti e meschini. Mi volgo a cercare lo schermo. Dov’è lo schermo? Dove si è nascosto stasera?
C’è che stasera spaccherò una melograna tentando nell’aprirla di non macchiare di rosso tutto il mondo attorno a sé.
Disamore
Ci sono giorni in cui il solo latrare di un cane lontano può farsi scrittura, giorni in cui potrei scrivere pagine fitte sul brusio che ora mi viene dalla piazzetta a pochi passi da me, e tratteggiare con questo brusio un quadro animato di colori, di persone, di vita. Oggi invece di questo brusio io sento solo il brusio, indistinguibile, che non può essere riempito se non del poco spazio vuoto tra me e la piazzetta ancora illuminata da un sole cocente. Scrivere della piazza, della luce bianca che la racchiude in questo inizio d’estate, delle pigre colazioni al tavolino del bar sulla piazzetta che di tanto in tanto mi consento quando mi metto a spiare l’umanità cercando di leggere tra le rughe dei passanti una storia, lo so fare in certe ore.
Ci sono ore in cui le parole si disamorano di me, sono le ore della distonia quando a malapena mi rimane sentore della mia stessa umanità. Il mondo si oscura in quelle ore. La piazza scompare. Si tira giù il sipario e mi ritraggo.
lunedì 3 novembre 2008
Occhi stranieri
domenica 2 novembre 2008
Non conosco l'amore degli adulti
C’è una persona che mi ha amato a lungo. Per tanti anni a colazione si apparecchiava la tavola con delle tovagliette plastiche, la sua era quella con le coccinelle. La mia non la ricordo. Sulla sua tovaglietta tutte le mattine c’era una fila di pillole. Le pastiglie che allontanavano quella che sarebbe stata una morte certa senza quei farmaci salvavita. Facendo colazione però ed anche nel resto del tempo sapevamo che chi era davvero ammalato di morte ero io. Credo che sia la persona che mi ha amato più di tutti. Amava anche la morte dentro di me, anche se a tratti sentiva tutta l’impotenza di non sapermi ri-animare.
A chi si avvicina a me chiedo di essere amata come si fa con un bambino, con la condiscendenza di chi sa che solo vezzeggiandomi, adulandomi e quasi adorandomi riesco ad eludere la morte ogni tanto. Non conosco l’amore degli adulti. Non mi è mai appartenuto.
sabato 1 novembre 2008
Con una rosa
Ci alzammo al mattino che il mondo era tutto in quel riquadro davanti a noi, un mare calmo e una tramontana fredda sulla pelle. Sapevo che non l’avrei più rivisto quell’angolo di cielo.
Scendesti a fare il fuoco. Per fare asciugare le pareti, dicevi. Per fare asciugare le pareti. Scesi dopo un po’ e mi misi accanto a te. Ha provato a chiamarmi più volte, ti dissi. Su uno sgabello davanti al fuoco, con un pesante maglione alle spalle, dicesti: Chiamalo. Ti dissi: no. Sarebbe uno sbaglio. Dicesti: chiamalo. Magari non lo è. Lo chiamai. Poi dopo presi un treno. Si presentò con una rosa, rossa.
La casa adesso è chiusa, almeno credo. Quell’angolo di cielo e di mare è ancora lì. Ed anche oggi intreccio le mie ore a un’illusione. E sorrido alle mie mille ingenuità.
C’è una tomba dove non ho mai pregato. Forse devo andare a farlo. Forse non posso più sottrarmi.
venerdì 31 ottobre 2008
Il giudizio del soggetto
Non ha sentito dolore, María Zambrano. Nessuno. Niente che possa approssimarsi all’idea del dolore fisico. Una cosa facile. Un’estrazione da niente. Il dentista è sorridente quando glielo dice e replica che fin quando starà seduta su quella poltrona non ne sentirà mai di dolore. Ci mancherebbe altro. Uno dovrebbe anche pagare per sentire dolore? Non garantisco però per il “dopo”. No. Per il “dopo” non garantisco. (sic)
Lei sorride mentre pensa: Allora fammi restare su questa poltrona per tutta la vita. Dai. Che ti costa? Se vuoi, puoi darmi anche una poltrona un po’ più scomoda e non necessariamente al centro della scena. Posso mettermi lungo una parete e starmene lì buona buona fino alla fine dei miei giorni. Non farmi andare via, dai. Che ti costa?
Con la bocca ancora mezzo anestetizzata María Zambrano parla al telefono con la genitrice che le strappa una promessa, facendosi forte della debolezza del soggetto che parla con lei oggi, un soggetto tutto concentrato su una sua mezza faccia, la sinistra. Sì. Si vedranno domani a pranzo il soggetto e la di lei genitrice. E così sia. Quando dicesi che il giudizio comincia davvero a scarseggiare …
Post scriptum. Il migliore amico di María Zambrano è appena passato a visitarla. Adesso è andato in farmacia a fare incetta di antidolorifici e farmaci di pronto intervento nel caso in cui il dolore dovesse fare capolino ché il soggetto mica aveva pensato a tale eventualità!!! Che grandi amici che ha María Zambrano, pieni di attenzione e premurosi. E’ fortunata María in questo e lo sa.
giovedì 30 ottobre 2008
Stasera si recita a "soggetto"
Lo scenario consueto è rotto solo da un certo pulsare all’altezza del cuore che fa sorridere il suddetto soggetto anche se un po’ spaventa María Zambrano, sé-dicente tale per un atto di appropriazione indebita.
mercoledì 29 ottobre 2008
Il soggetto
Appropriazioni indebite
Nome: María Zambrano
Età: irrilevante
Personalità: piuttosto inaffidabile
Segni particolari: compulsione alla confessione
Umore: piuttosto variabile
Essendo le due passate ora si va a pranzo. Un saluto a chi eventualmente dovesse passare. Lasciate traccia di voi. Sarete raggiunti nel più breve dei tempi sempre che nel frattempo ... e chi può dirlo? Tutto può succedere. Siamo legati a un filo che ci piaccia o no.